Il 28 marzo è il Document Freedom Day, la giornata mondiale per la liberazione dei documenti.
Tra due giorni festeggiamo gli Standard Aperti e i documenti liberi, e alla FSFE siamo già in fibrillazione. Oltre 30 eventi, in tutti i 5 continenti sono registrati, mentre noi della FSFE ci occupiamo del coordinamento internazionale di tutti gli eventi. I continenti più coperti sono l’Europa e l’America Latina. Ma perché è così importante celebrare gli Standard Aperti, promuovendone l’uso?
Rispetto ai documenti di tipo tradizionale, ad esempio una lettera scritta a mano o battuta a macchina, o una rivista patinata, i documenti elettronici necessitano di programmi informatici che siano in grado di leggerli, e risentono inevitabilmente del formato in cui vengono diffusi. Questo non è necessariamente un problema, a condizione che le caratteristiche del formato in oggetto siano note a tutti, e che siano sfruttabili senza costi aggiuntivi (ad esempio rappresentati da brevetti che gravano sui formati). Queste caratteristiche definiscono uno standard aperto, e non esistono ragioni per non preferirne l’uso.
Lo scambio di documenti salvati in formato proprietario è un ostacolo per la leggibilità degli stessi documenti. Ciò è molto pericoloso: si pensi alle attività di coordinamento necessarie per risolvere qualsiasi situazione di crisi. Nel 2005, in seguito ai tragici avvenimenti che seguono lo Tsunami in Asia sudorientale, occorre un coordinamento rapido tra le autorità di diversi paesi al fine di assicurare che le operazioni di salvataggio si svolgano nel modo più efficiente ed efficace possibile. Ma queste autorità si sono ciecamente affidate all’uso di standard chiusi e proprietari (peraltro diversi tra loro), che hanno rallentato e reso inutilmente difficoltose le attività di coordinamento
[…] The tsunami that devastated South Eastern Asian countries and the north-eastern parts of Africa, is perhaps the most graphic, albeit unfortunate, demonstration of the need for global collaboration, and open ICT standards. The incalculable loss of life and damage to property was exacerbated by the fact that responding agencies and non-governmental groups were unable to share information vital to the rescue effort. Each was using different data and document formats. Relief was slowed, and coordination complicated. […]
— Mosibudi Mangena, Opening address of SATNAC 2005
I formati non aperti e proprietari rappresentano un ostacolo allo sviluppo di programmi in grado di leggerli. Infatti, se le specifiche di un certo formato non sono disponibili, non posso neanche creare un programma che sia in grado di leggerli. Naturalmente la loro diffusione ha effetti negativi sullo sviluppo di Software Libero. Più in generale, il mancato utilizzo di Standard Aperti impedisce il funzionamento concorrenziale del mercato dell’informazione. Come per tutte le inefficienze del mercato,la società paga un costo, perché se io non posso scrivere un programma in grado di gestire un certo formato (magari dandogli una licenza che lo renda Software Libero), non posso neanche trarne nessun beneficio economico, quindi ho una perdita di reddito.
Chi ne trae vantaggio sono gli enti che hanno sviluppato i formati proprietari, omettendo di renderne note le specifiche e magari sviluppando un software proprietario in grado di leggere questi formati. Queste entità percepiscono un’ingiustificata rendita monopolistica dallo sfruttamento dei formati proprietari.
L’uso e la diffusione di standard chiusi e proprietari da parte dello Stato è ancora più paradossale. Non solo perché il mancato guadagno da parte di privati che potrebbero sviluppare programmi e poi venderli genera inevitabilmente un gettito erariale inferiore,ma perché i fondamentali requisiti di buon andamento e di imparzialità (ai quali la Pubblica Amministrazione dovrebbe ispirarsi), non vengono rispettati. E questo è molto brutto, soprattutto perché chi ci guadagna sono spesso delle multinazionali straniere. Ecco perché mi arrabbio in modo moderato quando ricevo un documento in formato non aperto, perché magari la persona che lo fa non ci pensa, o non è a conoscenza di quanto sia inutilmente dannoso diffondere questi documenti; ma mi indigno quando chi lo fa è un istituzione pubblica, perché quest’ultima è tenuta a porsi il problema.