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Il nuovo che arretra

Thursday, February 18th, 2016

L’Italia è un Paese speciale perché gli italiani sono persone speciali.  Siamo artisti, creativi, e grandi chiacchieroni; sapppiamo fregare gli altri nelle piccole cose, ma siamo maestri nel farci fregare in quelle grandi, come la Storia ci insegna.

Questo millennio va di moda la tecnologia e il digitale. Ci siamo fatti convincere che la tecnologia è sempre buona, anche grazie al denso alone di sacralità da cui è avvolta.  Cosa di meglio, allora, per la nostra Pubblica Amministrazione, che fare accordi quadro con le grandi aziende tecnologiche, “senza oneri per l’Amministrazione”?

Ecco quindi che il nuovo “ufficio tecnologico” del Governo viene dato in gestione a Diego Piacentini, vice presidente di Amazon, che si impegna a lavorarvi gratuitamente due anni prima di tornare in azienda.  La notizia è passata però in secondo piano, perché l’attenzione dell’opinione pubblica era divisa tra il dibattito sulle unioni civili e l’importantissimo Sanremo.

Credo che un incarico così importante dovrebbe essere remunerato, risolvendo il conflitto di interessi con l’impegno a non tornare in azienda al termine dell’incarico. Oppure, più semplicemente, si sarebbe potuta scegliere una persona meno di parte.  Invece, “senza oneri per l’Amministrazione” regaliamo due anni di scelte tecnologiche, che avranno effetti per almeno altri 20 anni, ad una delle più grandi realtà commerciali d’oltreoceano.

Parlo di 20 anni non solo perché ogni scelta politica ha effetti sul lungo periodo, ma in particolare perché ogni scelta tecnica nel digitale è quasi inevitabilmente condita di “lock-in”. Il fornitore di un servizio o di un prodotto fa sempre tutto il possibile per legare il cliente a se stesso e rendergli impossibile o estremamente oneroso ogni cambiamento.  Quando per esempio tutti i dati di anagrafe e catasto sono in uno specifico sistema informatico, a fronte un contratto di abbonamento annuale di cinque o sei cifre, possiamo capire che il fornitore non sarà interessato ad aiutarci a passare ad un suo concorrente.

Ricordo in proposito che il nostro CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale) era noto per essere uno dei migliori d’Europa, includendo clausole preferenziali per il software libero e requisiti di interoperabilità per ogni acquisizione informatica da parte della PA.

Purtroppo lo era, ma non lo è più.  In gennaio è circolata, sotto silenzio, una bozza di revisione del CAD in cui sono scomparsi gli articoli relativi all’interoperabilità.  Si tratta(va) di una buona salvaguardia contro le pratiche di lock-in. Un sistema è interoperabile quando è possibile accedere ai dati o fruire dei servizi da altri sistemi, per esempio usando formati di dati “aperti” per la gestione documentale. La modifica del CAD va a colpire il punto più critico per i monopolisti, perché in pratica la preferenzialità per il software libero viene facilmente elusa.

Non credo sia un caso che, sempre a gennaio, il Governo abbia “stretto un patto con Cisco per la digitalizzazione del Paese”: l’azienda investe 100 milioni di Euro nella scuola, nella ricerca e nelle “start-up”, senza più nessuna richiesta di interoperabilità.  Questi investimenti “senza oneri per l’Amministrazione”, in particolare quelli nella scuola, normalmente consistono in regalie di apparecchiature e software, rubricati come spese in detrazione dal reddito anche se il costo per l’azienda è sempre inferiore, ma per il software è addirittura zero.  L’investitore, in pratica, pastura nelle scuole, in esenzione fiscale (“senza oneri per l’Azienda”), per poi pescare una frotta di clienti fedeli e paganti nel prossimo futuro.

In realtà da circa un anno gli investimenti non si limitano a facili regalie: il Ministero dell’Istruzione tramite l’iniziativa “Protocolli In Rete” sotto cui ricade la parte “scuola” dell’intesa con Cisco può firmare accordi quadro con le aziende, che tra l’altro possono mandare i loro tecnici in aula per svolgere attività di “formazione”.  Quindi è possibile svolgere attività di addestramento attivo dei ragazzi sulle tecnologie specifiche dell’investitore, e ci sono già vari accordi di questo genere in vigore. Senza più requisiti di interoperabilità.

In realtà, oltre all’interoperabilità ci sarebbe un’altra difesa contro il lock-in nelle scelte commerciali: la valutazione dei costi di uscita.  Al momento della sottoscrizione di un contratto, l’analisi comparativa della PA dovrebbe includere il costo di uscita: la spesa e lo sforzo necessari per cambiare fornitore.  Purtroppo il nostro CAD, redatto anche in base al lavoro della commissione Meo del 2003, è sempre stato in difetto su questo argomento. La commissione aveva ben delineato nella sua relazione finale la questione dei costi di uscita, ma le relative pagine sono state stralciate da ignoti prima della pubblicazione. Temo sia successo lo stesso in altre situazioni.

La tecnologia è una grande risorsa, ma va usata con cautela. Può essere uno strumento di progresso ma anche di colonizzazione culturale ed economica.  Spero che riusciremo, prima o poi, a diradare l’alone di sacralità che circonda la tecnologia e permette ai ai governi di ogni colore di essere indotti a scelte miopi e castranti.  In realtà il software e la tecnologia sono solo conoscenza e cultura; realtà che potrebbero e quindi dovrebbero essere accessibili a tutti ma che i poteri forti, da sempre, vogliono rendere artificialmente scarse; basti pensare agli scribi dell’antichità o al controllo sulla divulgazione dei libri nel medioevo.

Oggi si parla tanto della necessità di colmare il “divario digitale”, tra chi è avvezzo agli strumenti moderni e chi fatica ad avvicinarsi.  Purtroppo, però, le scelte politiche sbagliate, quelle pilotate dai falsi “senza onere”, fanno crescere la dipendenza dagli strumenti senza acquisirne il vero controllo.  Ironicamente, le aziende più potenti sono proprio quelle che usano massicciamente software libero al loro interno, ma riescono così bene a tenerlo nascosto ai loro utenti/sudditi che quando devono assumere nuovi tecnici faticano a trovare persone competenti in materia.

Qualcosa comunque si muove nella direzione giusta: la Commissione Europea nel 2012 incentiva all’uso di standard aperti (cioè interoperabili), stimando un relativo risparmio nel settore pubblico di un miliardo di Euro all’anno; in una successiva Comunicazione del 2013 delinea la questione del lock-in e suggerisce come affrontarla.  È perciò possibile andare avanti, smussando i problemi insiti nella tecnologica per valorizzarne meglio i lati positivi; non è pertanto accettabile che la nostra politica nazionale faccia scelte retrograde svendendo il Paese e i suoi potenziali.

Forse in certi casi è un bene che i cervelli fuggano: qualcuno cresciuto fuori dalla colonizzazione culturale potrà tornare e aiutare il Paese a ripigliarsi, sempre che non torni in veste aziendale “senza oneri per l’Amministrazione”.

Alessandro Rubini, Febbraio 2016.
La copia integrale di questo testo è permessa e incentivata.

PS: Roberto Guido mi fa notare la circolare di dicembre 2013 (“Linee guida per la valutazione comparativa”), che appropriatamente include una discussione dei costi di uscita. Quanto ho scritto risulta quindi un po’ piu` negativo del dovuto. Spero nell’applicazione su larga scala, nel tempo, di queste indicazioni.